Pane dal cielo: una fiaba allegorica con protagonisti due senzatetto e un bambino, tutti e tre 'invisibili' ai più. La nostra recensione del film di Giovanni Bedeschi. Da Carolina Iacucci - 15 Dicembre 2018

www.cinematographe.it

In Pane dal cielo Lilli (Donatella Bartoli) e Annibale (Sergio Leone) sono due clochard milanesi che dormono in zona Bicocca, nei pressi della stazione Greco-Pirelli. In una fredda notte di Natale trovano un neonato dentro un cassonetto. È un maschietto paffuto e vivace, dalle guance rosate e gli occhi blu: prontamente la coppia, conquistata dal piccolo, si reca all’ospedale più vicino, ma, con grande sorpresa, l’infermiera e il medico di turno non vedono nessun bambino. Il neonato, infatti, è visibile solo ad alcuni ed invisibile ad altri: la sua presenza è un miracolo soggettivo, che si rivela solo a chi è disposto a ‘vedere’, a guardare al di là della superficie. Pane dal cielo: una fiaba allegorica con protagonisti due senzatetto e un bambino, tutti e tre ‘invisibili’ ai più Pane dal cielo è un piccolo film diretto da Giovanni Bedeschi che, con la cadenza delicata di una fiaba allegorica, invita a restituire sostanza narrativa alla novella cristiana, a tornare a credere alla sua urgenza e alla sua infinita attualità, senza mai porre la questione in termini aridamente religiosi. La spiritualità non è il catechismo che fa di un credo un idolo e che trova innumerevoli surrogati e feticci, ma un’intima disponibilità a vedere l’invisibile, a concedere un’occasione all’immateriale, a quello che sfugge alla nostra irrefrenabile pulsione a contare, quantificare, consumare. La scelta dei senzatetto come interlocutori privilegiati dell’apparizione di un nuovo Gesù è, in questo senso, rivelatoria anche della traccia meta-testuale del film: chi più di quegli uomini e di quelle donne su cui letteralmente inciampiamo nella frenesia cittadina di un quotidiano ‘cieco’ a quel che ci circonda, potrebbe concedere a ciò che non è visibile, che eccede la razionalità e la contabilità, un credito, un’opportunità di manifestarsi e di indicare un nuovo, più profondo senso al vivere? Un film ‘spirituale‘ che testimonia un disagio collettivo a mettersi dalla parte del materialismo Sebbene il rischio di scivolare nella predicazione pauperistica non sia del tutto scongiurato e, a causa della povertà di mezzi tecnici, non riesca mai a sollevarsi al di sopra della sua manifesta, ma solo in certa misura programmatica naïveté, Pane del cielo rappresenta un’espressione comunque interessante di quella tendenza che sta emergendo nel cinema e nella serialità televisiva degli ultimi anni a reintrodurre l’ansietà spirituale all’interno del discorso narrativo, dell’affabulazione per immagini. Come Troppa Grazia di Gianni Zanasi, per citare un esempio recentissimo, anche questo film, che pure, senza dubbio, ha intenzioni diverse e ambizioni più modeste, testimonia un’inquietudine sociale, un sentimento di disagio non più solo individuale, ma condiviso, divenuto collettivo, nel leggere la realtà attraverso una grammatica esclusivamente pragmatica e utilitaristica, nel mettersi senza condizioni dalla parte del cinismo e del materialismo. Pane del cielo arriva nelle sale il 14 dicembre 2018, a Milano, prima di spostarsi, il 15 e il 16 dicembre, a Padova. In seguito farà tappa in tutte le principali città italiane fino alla prossima Pasqua.